di Luca Carofiglio

Foggia, la geografia della "Quarta mafia": «Criminalità che vuole mettersi in mostra»
FOGGIA – “Una criminalità che unisce alla tradizione del familismo mafioso di ‘Ndrangheta e Camorra la modernità rappresentata dalla vocazione agli affari e all’infiltrazione nel tessuto economico-sociale”. È così che viene definita la “Quarta mafia” foggiana nella relazione semestrale della Dia pubblicata ieri. Un fenomeno malavitoso che sta facendo parlare sempre più di sé, basti pensare all’intensificarsi degli attentati dinamitardi: dall’inizio del 2019 ben otto bombe sono infatti esplose tra le strade del capoluogo dauno.  

«Le deflagrazioni vanno avanti da anni con scopi diversi – ci spiega il 64enne Piernicola Silvis, Questore della Polizia di Stato dal 2013 al 2017 -. A volte c’è da punire chi non vuole pagare il pizzo, ma in alcuni casi si vuole rammentare che a Foggia la criminalità c’è e controlla il territorio».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Insomma quella dauna è una mafia molto diversa da quella barese, siciliana e calabrese, che vede i boss agire nel silenzio, “sott’acqua”. Qui al contrario c’è voglia di ostentare, di spaventare, un po’ come in Campania. Del resto la provincia di Foggia, assieme a Napoli, è l'area con più persone uccise da colpi di arma da fuoco. «È una malavita giovane che ha bisogno di mettersi in mostra per dimostrare di esistere», ribadisce Silvis.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In effetti è solo da poco che si sono accesi i riflettori su questa realtà. La situazione ha cominciato a far riflettere dopo l’omicidio dei fratelli Luciani avvenuto il 9 agosto 2017 a San Marco in Lamis. In quel momento si riunì il Comitato nazionale per l’ordine e sicurezza pubblica che decretò l’emergenza nazionale, definendo per la prima volta “Quarta Mafia” il fenomeno criminale. Non è tra l’altro un caso che l’ultima “marcia” organizzata dall’associazione Libera si sia svolta proprio a Foggia, il 21 marzo scorso. 

Una mafia che abbraccia vari settori dell’illegalità. «Grazie al denaro ricavato dalle estorsioni (per anni la principale forma di sostentamento) - avverte l’ex questore – i clan sono riusciti a riempire le loro casse tanto da poter finalmente entrare nel business della droga, inaugurando importanti contatti sia con l’Albania che con la Campania. Ma anche il traffico dei rifiuti si sta rivelando un ottimo affare».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Parlavamo di clan: nel Foggiano se ne contano 29. Nel capoluogo c’è la “Società Foggiana” con i sodalizi Sinesi-Francavilla e Moretti-Pellegrino-Lanza al fianco dei Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese. La “Società” fece il suo ingresso in scena nel 1978, quando il camorrista Raffaele Cutolo decise di esportare la mafia in Puglia per sfruttare la posizione geografica ritenuta ottimale per il contrabbando. “O professore” riunì a capo di una organizzazione comune i boss locali Giosuè Rizzi, Rocco Moretti e Giuseppe Iannelli, consacrando così la creazione della Nuova Camorra Pugliese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Cutolo però venne arrestato e la “Società foggiana” divenne la naturale prosecuzione del precedente progetto. «Il 1° maggio del 1986, con la “strage del Bacardi”, avvenne l’emancipazione della criminalità dauna – ricorda Silvis -. Quella notte i sicari di Rizzi fecero irruzione nell’omonimo circolo privato e uccisero quattro membri del clan Laviano, che aveva tentato di portare la Sacra Corona Unita a Foggia».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel Gargano invece la malavita fece il salto di qualità alla fine degli anni 70, quando si passò dalle faide tra pastori alla nascita di alcune organizzazioni di famiglie che avevano assunto il controllo del territorio. Oggi in quest’area si trovano una pluralità di gruppi. Dai Ciavarella-Tarantino a Sannicandro Garganico ai Di Claudio-Mancini a Rignano, mentre i Di Summa-Ferrelli e i Cursio-Padula agiscono ad Apricena. Monte Sant’Angelo è invece contesa dagli Alfieri-Primosa-Basta, dai Li Bergolis, dai Frattaruolo e dai Ricucci. Questi ultimi due clan sono attivi anche a Vieste e Manfredonia, affiancati dai Romito. A San Giovanni Rotondo ci sono i Prencipe, a San Marco in Lamis i Martino, a Mattinata i Gentile e a Vico del Gargano gli ex Notarangelo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel basso tavoliere, a Cerignola, dominano i Di Tommaso e i Piarulli-Ferraro, esperti nelle rapine ai tir e ai portavalori. I Masciavè sono invece a Stornara mentre i Gaeta a Ortanova. Nell’alto Tavoliere, a Lucera, si trovano poi i Bayan-Papa-Ricci, i Cinicola, gli ex Tedesco e i Barbett. A Torre Maggiore spiccano i D’Aloia accanto agli ex Palumbo, i Salvatore, i Russi e i Testa-Bredice. Questi ultimi quattro presenti anche a San Severo dove contano sull’appoggio del clan foggiano Moretti-Pellegrino-Lanza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Insomma parliamo di una geografia criminale sempre più radicata sul territorio, rafforzatasi grazie ad omertà, assenza di pentitismo e sottovalutazione da parte delle Istituzioni. «Più volte durante i miei anni di servizio ho chiesto un maggiore aiuto da parte dello Stato – conclude l’ex questore - ma non sono stato ascoltato. E oggi ci ritroviamo davanti a una pericolosa e riconosciuta nuova mafia».


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